Samuel Stern 25: L'angelo del focolare

Spiego perché questa recensione arriva così tardi e perché una recensione non dovrebbe mai essere come questa

Samuel e Penny guardano verso l'alto

Non volevo scriverla, questa recensione. Proprio non ne avevo alcuna voglia.

E infatti fino ad oggi (ben 20 giorni dopo aver ricevuto in anteprima il PDF) non l’ho scritta.

Dentro di me, ho continuato a macerarmi l’animo: “Ma perché mai mi è così difficile scrivere una recensione? In fondo, non si tratta d’altro che di mettere nero su beige ciò che penso…”.

Certo, c’era la considerazione che, come linea generale, non scrivo recensioni negative: se qualcosa non mi è piaciuto, non ne parlo proprio. Restando nella casa del Rosso di Edimburgo, non ho parlato dell’edizione a colori cartonata del numero 1, “Il nuovo incubo”: è stata una delusione tremenda che ho deciso di incistare in un cruccio custodito nel cuore.

E allo stesso modo stavo procedendo a proposito di questo numero 25, con il rimpianto ulteriore di rompere una tradizione che durava ininterrottamente dal numero 6 e che aveva addirittura avuto un prologo con il numero 2.

Ma, mi rendevo conto che sui due piatti della bilancia, qualcosa c’era e qualcos’altro mancava. Su un piatto c’erano effettivamente il dolore e il rimpianto di non scrivere la recensione; sull’altro piatto mancava la serenità della decisione presa, quantunque sofferta.

In altre parole: la mia decisione non mi lasciava in pace.

Perché?

Un motivo sorprendente

A questo punto ho approfondito un argomento che forse avrei dovuto approfondire meglio già da tempo, anziché tenerlo alle soglie della coscienza: perché L’angelo del focolare non mi è piaciuto?

Certo, è sempre valido il fatto che a me piacciono le storie (fumettate, scritte, cantate e filmate) che parlano di persone, non di cose. Perciò, dei demoni, dell’horror e persino dell’avventura non mi importa proprio nulla.

E questo è un primo criterio per comprendere perché L’angelo del focolare non mi sia piaciuto. Ma, santo dio fumettaro!, non può essere tutto qui. Almeno, non può essere tutto qui in considerazione del fatto che sentivo sempre nel mio stomaco il proverbiale gatto vivo che si contorceva e soffiava. Mia moglie diceva che erano le bibite gassate che mi disturbavano, ma questa è un’altra faccenda.

Perciò ho cercato di capire meglio che cosa c’era di specifico nel numero 25 che mi disturbava così tanto.

Ti risparmio la cronaca di tutti i processi mentali e di tutte le associazioni d’idee che hanno fatto capolino alla mia coscienza e arrivo subito al punto, proponendoti tre tavole che mi hanno permesso di fare luce sulla faccenda.

Il denominatore comune delle tre tavole è che si parla di aborto, dell’aborto di Abigail.

Ora devo aprire una parentesi.

Nella pancia, i bambini morti

In una delle mie vite precedenti (specificamente, quella in cui ero un operatore terapeutico in una comunità per tossicodipendenti) ho conosciuto una ragazza che ha frequentato una sessione di quella che allora veniva chiamata Nuova Identità Personale e che oggi si chiama Psicoterapia Emozionale. Queste sessioni, con altre ancora, non facevano strettamente parte del programma di recupero, ma erano comunque utilizzate per rafforzare l’identità di sé.

Al ritorno dalla sessione, questa ragazza dice di aver scoperto che aveva “ancora nella pancia i bambini morti”, cioè i bambini morti per gli aborti che aveva avuto. Lascio perdere i motivi per cui questa ragazza, allora tossicodipendente da strada, aveva avuto gravidanze e i motivi per cui le aveva interrotte.

Quello che mi interessa è evidenziare che aveva ancora nella pancia i bambini morti.

Dal punto di vista psicologico, un aborto può essere un evento sconvolgente, anche se non te ne rendi conto.

Ora usciamo dalla comunità terapeutica ed entriamo nel fumetto.

Quando ho letto dell’aborto di Abigail, senza rendermene conto sono tornato a tanti anni fa, quando quella ragazza raccontava ciò di cui si era resa conto.

E, senza che io me ne rendessi conto, la mia fantasia si è caricata di attese e di aspettative. Come i bambini morti di quella ragazza, il figlio non nato di Abigail avrebbe dovuto acquistare sostanza e diventare demone, nato dalla sofferenza sua, di Abigail e di suo marito.

Sarebbe stata una storia epocale. O, almeno, sarebbe stata la storia che io mi aspettavo fosse.

E qui chiudo la parentesi, perché finalmente si palesa il problema vero.

Attese e aspettative

Questa faccenda dell’aborto ha evidenziato un problema più ampio: io mi aspetto da Samuel Stern un certo tipo di storie.

E questo non è giusto, perché mi porta non solo a non vedere ciò che è, ma addirittura a lamentarmi per ciò che non è. Inevitabilmente io rimango scontento e la mia recensione non può che essere negativa.

Quando finalmente (dopo venti giorni), me ne sono reso conto, ho riletto la storia con l’animo un po’ più libero e non mi è sembrata così male. Anzi…

Vorrei riuscire a rimanere deluso ed incazzato, giusto per non avere l’impressione di perdere la faccia e per mantenere la mia immagine di duro e puro; ma la verità è che, sebbene l’episodio non approfondisca le dinamiche interiori quanto piacerebbe a me, certi temi sono ben presenti e che si sviluppano quel tanto che serve ad appassionare la media dei lettori moderni. Cioè quelli che non sono rappresentati da un sessantenne con la fissa dell’approfondimento psicologico come sono io e che si godono l’albo a fumetti senza troppe menate.

Oltretutto, i disegni di Lisa Salsi sostengono bene il racconto di Antonella Liverano Moscoviti, la prima autrice esterna alla santa trinità Filadoro-Fumasoli-Savegnago.

Perciò, mando giù il rospo, digerisco la mia rabbiosa delusione e mi godo la pace dei sensi.

Ma non troppo, perché c’è comunque una cosa che mi sento di dire.

Dove eravamo rimasti…

Da questo numero, a pagina 4 c’è Dove eravamo rimasti…, un piccolo riassunto degli ultimi avvenimenti.

Gianmarco Fumasoli ha dichiarato che il riassunto delle puntate precedenti è stato chiesto dai lettori. Bene! Sono contento di sapere di non essere l’unico a fare fatica a seguire la continuity.

Ma credo anche che i nodi debbano essere tirati all’interno della storia, non fuori. Ci vuole una sceneggiatura che accompagni delicatamente anche il lettore non abituale e quello (come me) con qualche problema di memoria, senza fare ricorso a riassunti.

Ci sono molti modi per inserire nella storia un riassunto dei fatti precedenti: un personaggio che ricorda, un protagonista che racconta i fatti ad un altro e via dicendo. Credo che questo modo di procedere integri molto meglio un albo con l’altro, senza ricorrere a pistolotti extra-storia.

Che cosa succederà?

Essendomi reso conto di leggere Samuel Stern mentre sono carico di attese e di aspettative mi sono chiesto se è il caso di andare avanti a recensirlo.

Forse è meglio che mi prenda una pausa.

 

 

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