Se "Le Storie" diventa una collana di zombie

Dopo Napoleone e Cassidy, anche Legs Weaver approda su Le Storie. La collana si sta evolvendo o snaturando?

In primo piano, gli occhi e il naso di Legs Weaver. Sullo sfondo, le mani di una donna che impugnano un'arma

In generale, non amo le storie (con la minuscola) a puntate: per come sono fatto io, mi costringono ad aspettare due o tre mesi prima di leggere il fumetto; io sono uno di quei precisini che devono essere sicuri di poter godersi l'avventura dall'inizio alla fine prima di iniziarne la lettura.

Data l'abitudine, non mi sconvolge aspettare diversi mesi per leggere un'avventura di Tex: è sempre stato così.

Ma una delle cose che mi sono piaciute di Le Storie è che apre e chiude un universo nello spazio di un albo. Senza serializzazioni, senza continuity e senza follower. Per gli autori, che non possono contare sullo zoccolo duro di aficionados del personaggio, è molto più difficile: la storia deve essere bella in sé.

Mi ricordo ancora la sorpresa e l'incredulità quando ho letto il numero 1 della collana... Non mi sembrava vero che un editore di fumetti seriali avesse avuto il coraggio di proporre una collana del genere!

Un cambio di rotta editoriale?

Con il numero 76 c'è stato un cambiamento nella collana: i numeri 76, 77 e 78 sono stati dedicati a una storia in tre parti, intitolata La corsa del lupo.

La storia mi è piaciuta, perciò ho visto con favore questa novità, che pensavo fosse un'eccezione alla regola o un una tantum.

Invece, i numeri 79 e 80 sono stati dedicati a una storia in due parti: China Song.

Devo dire che questa volta sono rimasto delusissimo: la storia mi è sembrata criptica e pesante, così proprio non mi ha preso. L'ho mollata a metà del primo albo. A volte succede che una storia proprio non mi appassioni: forte dei diritti del lettore ben messi in luce da Daniel Pennac, non ho remore ad abbandonare una storia.

Tratto da Come un romanzo, di Daniel Pennac

 

1. Il diritto di non leggere

(...) la maggior parte dei lettori si concede quotidianamente il diritto di non leggere. (...) tra un buon libro e un brutto telefilm, il secondo ha, più spesso di quanto vorremmo confessare, la meglio sul primo. Inoltre, non leggiamo sempre. I nostri periodi di lettura si alternano sovente a lunghi digiuni (...) (...) se possiamo tranquillamente ammettere che un singolo individuo rifiuti la lettura, è intollerabile che egli sia – o si ritenga – rifiutato da essa.

2. Il diritto di saltare le pagine

Ho saltato delle pagine (...).E tutti i ragazzini dovrebbero fare altrettanto. In questo modo potrebbero buttarsi prestissimo su tutte le meraviglie ritenute inaccessibili per la loro età. (...) Un grave pericolo li minaccia se non decidono da soli quel che è alla loro portata saltando le pagine che vogliono: altri lo faranno al posto loro.

3. Il diritto di non finire il libro

Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine: la sensazione del già letto, una storia che non ci prende, il nostro totale dissenso rispetto alle tesi dell’autore, uno stile che ci fa venire la pelle d’oca (...) Inutile enumerare le 995 altre ragioni, fra le quali si debbono tuttavia annoverare la carie dentale, le angherie del capoufficio o un terremoto del cuore che ci paralizza la mente. (...)

4. Il diritto di rileggere

Rileggere quel che una prima volta ci aveva respinti, rileggere senza saltare nessun passaggio, rileggere da un’altra angolazione, rileggere per verificare (...) Ma rileggiamo soprattutto in modo gratuito, per piacere della ripetizione, la gioia di un nuovo incontro (...)

5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa

(...) ci sono “buoni” e “cattivi” romanzi. Molto spesso sono i secondi che incontriamo per primi sulla nostra strada. E, parola mia, quanto toccò a me, ricordo di averli trovati “belli un casino”. Ma sono stato fortunato: nessuno mi ha preso in giro ... Qualcuno ha solo lasciato sul mio passaggio qualche “buon” romanzo guardandosi bene dal proibirmi gli altri.

6. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)

È questo, a grandi linee, il “bovarismo”, la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazione: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale e il cervello che prende (...)

7. Il diritto di leggere ovunque

(qui Pennac ci presenta un soldato un po’ particolare, che ama leggere Gogol durante l’esecuzione di un servizio, considerato dai più, poco onorevole: pulire le latrine. Il messaggio, consegnatoci dallo scrittore francese, è che qualunque luogo è buono per chi ami la lettura.... anche un comune gabinetto).

8. Il diritto di spizzicare

È la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo, dove capita e di immergercisi un istante, proprio perché solo di quell’istante disponiamo.

9. Il diritto di leggere ad alta voce

L’uomo che legge a viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano.(...)

10. Il diritto di tacere

L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire. (...) (...) le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere.

 

Versione del sito del Comune di Cordignano

Con i numeri 81, 82 e 83, la collana prende una nuova strada: non solo storie a puntate, ma riproposizione di personaggi Bonelli che un tempo erano titolari di una serie propria (e che poi è stata chiusa). Il primo personaggio è Napoleone.

Avevo molto amato Napoleone all'inizio della sua avventura editoriale. Poi mi aveva stancato e l'ho abbandonato. Ho in seguito saputo della sua chiusura, senza alcun dispiacere.

Ritrovarlo su Le Storie mi ha innervosito: che c'entra? Sarà stato per il nervoso, ma non sono riuscito ad arrivare a un terzo del primo numero. L'ho tenuto sul comodino per qualche mese e poi li ho messi tutti e tre nella libreria.

I numeri 86, 87 e 88 hanno presentato una storia originale in tre parti: Keller.

Keller mi ha riconciliato con le storie a puntate: la vicenda mi è proprio piaciuta. La trama era interessante, raccontata bene e disegnata splendidamente.

Purtroppo i numeri 90, 91 e 92 hanno portato alla ribalta un altro morto vivente: Cassidy.

Cassidy non mi era piaciuto quando era titolare di una sua collana e non mi è piaciuto adesso: ho letto le prime cinquanta pagine, sono morto di noia e l'ho abbandonato al suo destino.

I numeri 93, 94 e 95 sono dedicati a Hollywoodland, un'avventura in tre parti originale per Le Storie.

È una storia strana, che non mi è dispiaciuta; e questo è un gran complimento, perché se una storia che non è nelle mie corde riesce comunque a farmi arrivare alla fine soddisfatto, vuol dire che c'è davvero del buono. Credo anche che gran parte del merito vada ai disegni di Baldazzini, che nel mio pregiudizio c'entravano come i cavoli a merenda in un storia del genere e che invece hanno dato atmosfera all'albo.

Ora è uscito il numero 96, così so che anche il 97 e il 98 saranno dedicati a Leg Weaver.

In primo piano, il volto di Legs Weaver. In secondo piano, una donna che imbraccia un'arma

Legs Weaver non la sopportavo ai tempi di Nathan Never e la trovo ancora più insulsa ora.

Ma vale la pena?

A di là del fatto che un personaggio mi piaccia oppure no (e, tengo a precisare, il fatto che io l'apprezzi o non l'apprezzi non è un giudizio sul personaggio in sé: magari a tanta altra gente piace), mi sta francamente sulle balle il fatto che si è completamente snaturata una delle migliori caratteristiche della collana: apre e chiude un universo nello spazio di un albo.

Inoltre, sta diventando una collana di zombie, di morti che non sono sopravvissuti al mercato e che, tornati non viventi, prendono d'assalto forse la più autorale delle collane Bonelli.

Questo proprio non lo reggo. Ormai ho deciso: se incappo in un altro zombie, considero la collana chiusa con il numero 100 (giusto per dare un senso alla raccolta).

E, come al solito, passerò ad altro.

 

 

 

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